di Fabio Pace

Un appello dal fortissimo richiamo etico è stato diffuso dai sacerdoti della Forania di Marsala contro lo sfruttamento del lavoro nero, soprattutto contro lo sfruttamento dei tantissimi migranti che vivono nel nostro territorio. I sacerdoti citano e l’incisivo richiamo di Papa Francesco: «Guai a voi che sfruttate la gente, che sfruttate il lavoro, che pagate in nero, che non pagate il contributo per la pensione, che non date le vacanze. Guai a voi! Fare “sconti”, fare truffe su quello che si deve pagare, sullo stipendio, è peccato, è peccato». Affermazioni nette che Papa Francesco pronunciò nell’omelia del 24 maggio del 2018 che, secondo i sacerdoti marsalesi nelle loro comunità di Marsala e Petrosino – e non solo in esse, purtroppo – sono state ignorate. Al contrario nelle parrocchie giungono sempre più di frequente notizie secondo le quali sempre più spesso lavoratori e migranti vengono sfruttati in diverse attività lavorative, a cominciare da quelle agricole. «Abbiamo più volte ascoltato il “grido” di ingiustizia e di disumanità che ci rivolgono tanti lavoratori che devono subire violazioni dei loro diritti – scrivono i sacerdoti -. Per sostenere sufficientemente le loro famiglie o per avere un minimo reddito per i loro bisogni fondamentali (cibo e alloggio) sono costretti ad accettare inique e spregiudicate “regole”.  Pagati da due a quattro euro all’ora, con  orari di lavoro che vanno dalle 9 alle 12 ore al giorno, senza alcuna protezione previdenziale e regolare contratto». Un richiamo, quello dei sacerdoti marsalesi che ha radici profonde, oltre che nel Vangelo, come naturale che sia, nella enciclica Rerum Novarum e nel cristianesimo sociale di marca socialdemocratica e nel cattolicesimo democratico che ha tradotto in azione politica e talvolta anche in campo legislativo i contenuti della dottrina sociale della Chiesa. Incisivo il giudizio etico verso quei datori di lavoro  – i “padroni” vengono definiti nella nota dei sacerdoti – che si reputano pure cristiani o con la “coscienza a posto”. Tali comportamenti di sfruttamento e di grave disonestà vengono bollati come «disumani e contrari a quanto il Signore Dio ci ha comandato». I sacerdoti marsalesi si appellano perché coloro che stanno approfittando della situazione di bisogno –  che è cresciuta nella pandemia – non trattino più i loro simili come “bestie da soma” ma come fratelli da rispettare e offrano loro il giusto salario. Alle autorità pubbliche competenti chiedono più severi e adeguati controlli nel territorio.