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Via d’Amelio, il 28° anniversario

Ieri sono stati ricordati a Palermo il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta uccisi da un'auto bomba il 19 luglio del 1992

Rabbia per la verità occultata per anni, per i depistaggi. Amore, quello del giudice Paolo Borsellino per la sua Palermo, ed estensivamente per tutta la Sicilia, che voleva con forza che cambiasse. Questo il ricordo del fratello Salvatore nel giorno della memoria del 19 luglio del 1992 in via d’Amelio, dell’attentato della mafia in cui rimasero uccisi insieme al giudice Borsellino gli agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni. Rimane oggi, come allora il tema dei rapporti della criminalità organizzata con pezzi dello Stato e della società, come accadeva nel settore degli appalti negli anni antecedenti alle stragi del 1992, come ha ricordato il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, che posto anche lui l’accento su «Quel pezzo mancante di verità» che lo Stato non è ancora riuscito a restituire al Paese, neanche ventotto anni dopo il 19 luglio di sangue in cui Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta saltarono in aria per l’esplosione di un’autobomba il via D’Amelio, a Palermo. Nel corso della manifestazione di ieri, a Palermo, è stato letto il messaggio messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «La limpida figura del giudice Borsellino – che affermava, che chi muore per la legalità, la giustizia, la liberazione dal giogo della criminalità, non muore invano – continuerà a indicare ai magistrati, ai cittadini, ai giovani la via del coraggio, dell’intransigenza morale, della fedeltà autentica ai valori della Repubblica».

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