Nel mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi.
La situazione, però, potrebbe essere uguale anche nel resto d’Italia già tra qualche anno.
È quanto dichiara un’analisi dell’Ufficio Studi della CGIA che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat.
Entro il 2028, infatti, il numero dei pensionati in Italia potrebbe superare quello degli occupati.
Una tendenza già evidente nel Mezzogiorno, dove, nel 2022, le pensioni erogate erano quasi equivalenti al numero di lavoratori attivi.
Lecce, ad esempio, registra un saldo negativo di 97mila tra pensioni e occupati, seguita da Napoli con 92mila, Messina con 87mila e Palermo con 74mila.
Male anche Trapani che si trova al 94° posto su 107.
In provincia, infatti, i pensionati sono 144mila mentre gli occupati 116mila. Un saldo negativo, quindi, di 28mila tra pensionati e occupati.
Il fenomeno non riguarda solo il Sud. Anche in alcune province del Nord, come Genova e Ferrara, il numero di pensionati supera ormai quello degli occupati. Le uniche regioni che resistono a questa tendenza sono la Lombardia, il Veneto e il Lazio, dove il saldo tra occupati e pensionati rimane positivo.
L’Italia, insomma, rischia di dover affrontare gravi problemi economici e sociali a causa dell’invecchiamento della popolazione e un tasso di occupazione giovanile in calo.
«Con tanti pensionati e sempre meno operai e impiegati – ha detto Paolo Zabeo, Coordinatore del Centro Studi CGIA Mestre – la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinati a scendere.
Questo trend nel giro di pochi anni metterà a rischio l’equilibrio dei conti pubblici e la tenuta economica del nostro Paese.
Per invertire la tendenza dobbiamo assolutamente aumentare la platea degli occupati facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione dei giovani e delle donne che in Italia continuano a rimanere tra i più bassi d’Europa».
