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L’inchiesta su un ex supermercato Conad

Titolari e sindacalisti lucravano sui dipendenti del supermercato. Sequestro preventivo per mezzo milione di euro.

Nelle maglie dell’indagine sono finiti anche due sindacalisti, oltre ai due amministratori e a due dirigenti di una nota società palermitana proprietaria, fino a dicembre 2018, del supermercato Arcipelago- Conad a Trapani. L’operazione condotta dalle Fiamme Gialle è stata denominata “A shot of money”, quasi a parafrasare il film cult “Per un pugno di dollari”. Ma non era proprio “un pugno” il denaro che i finanzieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Trapani, hanno ritenuto frutto di condotte illecite perpetrate soprattutto ai danni dei dipendenti: il sequestro preventivo ammonta, infatti, a mezzo milione di euro.
L’applicazione delle misure cautelari personali interdittive, cioè il divieto temporaneo “di esercitare attività imprenditoriale o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e la professione di conciliatore sindacale”, è stata emessa nei confronti sia degli amministratori che dei dirigenti della società palermitana che ha gestito nel passato il supermercato e di due sindacalisti i quali, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero avallato la condotta illecita a danno dei lavoratori. Il sequestro preventivo di circa mezzo milione di euro viene, infatti, ritenuto profitto illecito di presunti reati per estorsione e autoriciclaggio. La scintilla che ha fatto scattare l’operazione “A shot of money” è stato un controllo in materia contributiva e previdenziale disposto a suo tempo nei confronti dello store. Le fiamme gialle, nel corso dei controlli, hanno raccolto diversi elementi indiziari che prefiguravano condotte illecite e penalmente rilevanti: prestazioni lavorative, non retribuite, notevolmente difformi da quanto previsto dal contratto di lavoro che hanno
richiesto l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali consentendo d’acquisire
corposa documentazione utile a ricostruire i reali rapporti di lavoro che intercorrevano tra i dipendenti e il datore di lavoro ed il ruolo assunto dai sindacalisti. Le indagini avrebbero certificato, tramite “un complessa attività investigativa, di rilevare come gli indagati, approfittando della situazione del mercato del lavoro a loro favorevole, costringevano i lavoratori, con la minaccia implicita del licenziamento e della mancata riassunzione, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi inferiori e non adeguati alle prestazioni effettuate, con la sottoscrizione di buste paga attestanti il pagamento di somme inferiori rispetto a quelle che avrebbero dovuto ricevere, nonché a presentare dimissioni indotte”. Tutto ciò, con la compiacenza di due assistenti sindacali si sarebbero limitati a far firmare agli stessi le transazioni pervenute dal rappresentante legale della società palermitana (nell’esclusivo interesse della stessa) nonché a far sottoscrivere loro verbali di conciliazione in cui i dipendenti rinunciavano a tutte le legittime spettanze ed ai diritti acquisiti (ferie, straordinario, permessi). Una vera e propria strategia del terrore, dunque, alla quale venivano sottoposti i dipendenti che dovevano sottostare alle imposizioni della ditta presentando dimissioni con la giustificazione che sarebbero stati riassunti con
condizioni contrattuali migliori e, quindi, invitati a rivolgersi al sindacato dove andavano a firmare “fittizie procedure conciliative”, come la sottoscrizione di verbali di conciliazione ad esclusivo vantaggio economico del datore di lavoro da parte dei dipendenti che rinunciavano a quanto loro dovuto. E tutto ciò per la paura di perdere il posto di lavoro.
L’attuale proprietà del punto vendita Conad, comunque, è assolutamente estranea ai fatti contestati dagli inquirenti sottolineando come “i due amministratori non siano più nella gestione dello store da quasi 2 anni ed, addirittura, siano passati ad altro marchio, non facente parte più del Gruppo Conad.”

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