Il professore Augusto Cavadi, filosofo e teologo palermitano, ha presentato ieri pomeriggio a Trapani, presso il Tempio della Chiesa Valdese di Trapani e Marsala, il suo libro sul giudice Rosario Livatino, “Un laico a tutto tondo”, a dispetto della sua beatificazione del 9 maggio scorso che lo colloca, invece, in un’aurea confessionale.

Il libro non è però una analisi critica della beatificazione, anzi ne integra il significato con una riflessione sugli aspetti della dimostrata laicità, in senso esteso e generale, di Livatino rispetto anche al suo essere stato magistrato integerrimo e non organico alla cultura della sua terra, troppo spesso refrattaria alla legalità, e perfino non organico alle stessa istituzione della magistratura.

Il libro, edito dalla casa editrice trapanese Di Girolamo, riporta ampi stralci di alcuni storici interventi del giudice di Canicattì, assassinato dai killer della Stidda, la mafia girgentana, il 21 settembre del 1990. A partire da questi testi e da alcune importanti note biografiche, l’autore apre spazi di lettura e rilettura della vita del “giudice ragazzino”.

Centrale la riflessione che Cavadi avanza a partire dalla più nota citazione del giudice Livatino, cattolico praticante: “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ma credibili”. È in questa dicotomia che appartiene la distinzione tra ortodossia e ortoprassi, laddove l’aderenza ai principi può rimanere vuota se ancorata alle sole parole (l’ortodossia), ma diventa vita concreta e azione se si salda ai fatti (l’ortoprassi).

Livatino fu uomo di ortoprassi e la sua vita lo dimostra negli atti concreti di ogni giorno, sapientemente citati nel libro di Cavadi.

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